venerdì 23 luglio 2010

2.2. Neuroscienze

I neuroni sono la base dello studio delle neuroscienze che attraverso la fisiologia cercano di far luce sui meccanismi che regolano il cervello e la prova empirica della pervasività emotiva su quella cognitiva è stata proposta proprio da un neuroscienziato: Joseph LeDoux.


Attraverso numerosi studi effettuati sui ratti ed avvalendosi delle nuove tecnologie di visualizzazione dei circuiti cerebrali LeDoux riuscì a rivoluzionare un modello consolidato ormai da tempo. La sua ricerca è incentrata sullo studio del condizionamento alla paura, sulla registrazione degli impulsi cerebrali che s’innescano e sulle aree coinvolte nel processo: partendo dal presupposto che il meccanismo non cambia al variare dello stimolo che lo accende (che sia una mela o un sentimento di paura) la sua tesi consiste nel prendere in esame una singola emozione (nel suo caso la paura) per capire il funzionamento del sistema che la genera. Prima dei suoi sorprendenti risultati si pensava che dato uno stimolo, gli organi di senso trasmettessero questi dati ad una struttura responsabile dell’attenzione, il talamo, che mandava impulsi alla neocorteccia cerebrale, la quale era deputata alla decodifica degli stimoli .


Circuito pre-LeDoux di decodifica cognitiva degli stimoli

Il circuito innescato quindi aveva come prima risposta un’informazione a livello cognitivo dato proprio dalla corteccia che elaborava i dati e solo in un secondo momento queste informazioni (già modificate e con un significato già assegnatogli dalla neocorteccia) arrivavano tramite un altro impulso neurale al sistema limbico, di cui fa parte l’amigdala, dove sarebbe avvenuta una risposta emotiva.

 
Secondo questo circuito quindi la valutazione di qualsivoglia stimolo (immagini, odori, parole ecc.) sarebbe prettamente cognitiva e solo alla fine s’innescherebbe una risposta emotiva dello stimolo.


LeDoux invece riuscì a scoprire un altro meccanismo, più rapido, in grado di dare una risposta immediata a ciò che il talamo registrava attraverso quella che lui definisce come “via bassa”; la sua ricerca dimostrò infatti che nel momento in cui i nostri sensi vengono attivati da qualsiasi input ambientale, un impulso nervoso arriva prima al talamo, ma poi dal talamo partono due circuiti che viaggiano in parallelo: uno più veloce che raggiunge direttamente l’amigdala ed un altro, molto più lento rispetto al primo, che arriva alla corteccia. Il risultato del circuito rapido è un’informazione imprecisa e non completa, mentre quello più lento completa o modifica l’informazione data dall’amigdala fornendo i pezzi mancanti.


Circuito di LeDoux sulla decodifica degli stimoli

In questo modo LeDoux definisce il percorso: «l’informazione sugli stimoli esterni raggiunge l’amigdala da percorsi diretti provenienti dal talamo (strada bassa) e da percorsi che vanno dal talamo alla corteccia all’amigdala. La via talamo-amigdala è più breve, il sistema di trasmissione è più veloce».

Analizzando la via bassa, LeDoux si accorge che le strutture cerebrali coinvolte nel processo sono due: ippocampo e amigdala; « l’ippocampo è» - secondo le parole di Gallucci - «una struttura centrale per l’apprendimento. Le informazioni che vi giungono vanno a produrre una memoria dichiarativa molto importante per il significato emotivo attribuito alle diverse situazioni» (Gallucci, 2007, pag. 51) ; in altre parole è proprio l’ippocampo che darebbe un senso diverso agli omicidi che vediamo in una fiction televisiva rispetto a quelli reali.


L’amigdala invece costituisce la sentinella della nostra memoria emotiva e attraverso un meccanismo di tipo associativo è in grado di confrontare l’esperienza momentanea con quelle già accadute: quando cioè la situazione presente ha una componente comune ad una qualsiasi esperienza pregressa, l’amigdala le associa ed il risultato è l’attivazione: a) di un impulso che invia il risultato dell’associazione alla corteccia; b) di sostanze che mediano le risposte emotive, come la rabbia, la gioia o la paura. In questo modo il corpo è già pronto ad agire prima ancora di conoscerne il perché, visto che le informazioni di cui dispone l’amigdala sono incomplete.

Contemporaneamente, la corteccia cerebrale elabora in maniera più accurata e profonda le informazioni inviate dal talamo sensorio ed è qui che avviene la fase di verifica: se infatti la neocorteccia constata che le informazioni inviatele dall’amigdala sono esatte le manderà un ulteriore impulso di conferma per massimizzare la reazione emotiva, altrimenti verranno modificate.

Per spiegare meglio il circuito innescato da uno stimolo, LeDoux propone un esempio semplice ma molto efficace: supponiamo di essere in campagna e di camminare lungo un sentiero; improvvisamente c’imbattiamo in una forma strana, snella e curva. Queste informazioni raggiungono direttamente l’amigdala tramite la via bassa, ma solo la corteccia potrà dirci (attraverso la fase di verifica) se quello che vediamo è un ramo o un serpente. « Se fosse un serpente » - spiega LeDoux - «l’amigdala ha una lunghezza d’anticipo» (LeDoux, 2003, pag. 171) ed in questo modo l’organismo è pronto a reagire nel caso in cui la corteccia dovesse confermare l’associazione dell’amigdala.

Ma in che modo una reazione emotiva permette all’organismo di reagire fisiologicamente? Attraverso il rilascio dell’adrenalina (un neurotrasmettitore, sostanza cioè in grado di trasportare le informazioni tra le cellule del sistema nervoso) da parte del sistema nervoso autonomo, il quale (sempre sotto lo stimolo dell’amigdala) provoca il rilascio da parte delle ghiandole surrenali dell’adrenalina nel sangue che, raggiungendo il cervello, ne viene influenzato. Se invece la verifica della neocorteccia smentisce l’associazione dell’amigdala, il circuito cognitivo inibisce il rilascio dell’adrenalina.

Ma non è tutto. All’amigdala confluiscono segnali, sempre secondo LeDoux, da parte di un’ampia gamma di elaborazioni cognitive, diventando quindi il centro specifico dell’interpretazione emotiva di ogni stimolo. In questo modo, conoscendo le aree che passano le informazioni all’amigdala e sapendo a quali funzioni contribuiscono, possiamo prevedere come queste contribuiscano alle reazioni emotive, essendo in grado di elaborare l’importanza degli stimoli sia individuali che di situazioni complesse, «in altre parole» - spiega LeDoux - «l’anatomia può illuminare la psicologia» (Ivi, pag. 177).

Ricezione degli stimoli da parte dell’amigdala secondo LeDoux (2003, pag. 177)

I processi cognitivi ed emotivi devono essere quindi considerati come «funzioni mentali distinte ma interagenti, mediate da sistemi cerebrali distinti ma interagenti» (Ivi, pag. 72) . La rivoluzione di questo modello sta quindi nella supremazia dell’elaborazione emotiva degli stimoli seguita, e non preceduta, dall’interpretazione cognitiva proprio perché la valutazione emotiva è effettuata dal cervello prima che la corteccia cerebrale abbia finito di elaborarlo, di conseguenza possiamo reagire a qualcosa prima di sapere se quella cosa è buona o cattiva.

Ora sappiamo che il nostro comportamento è, sempre secondo le neuroscienze, il risultato dell’interazione di due processi differenti: sistemi emotivi e sistemi cognitivi.


Questa conclusione non può non condizionare il sistema economico visto che, come spiega Camerer, «il modello standard del comportamento economico assume che vi sia un insieme unitario di preferenze che le persone cercano di soddisfare» (Camerer, Colin, 2007, The Case of Mindful Economics, Oxford University Press, Oxford (trad. it. La Neuro Economia, I edizione, 2008, Milano, Il Sole 24 Ore) pag. 25; la scoperta di processi differenti e funzioni specializzate nel trattamento delle informazioni porta inevitabilmente ad una revisione del sistema nel suo complesso.

La prima applicazione possibile nel marketing di questa scoperta? Immaginate che lo stimolo sia una pubblicità, un prodotto su uno scaffale o un nuovo brand lanciato sul mercato: il nostro cervello etichetta emotivamente ogni possibile input, e «queste etichette affettive» - spiega Camerer - «si presentano alla mente senza sforzo e automaticamente ogniqualvolta quegli oggetti e quei concetti sono evocati» (Ivi, pag. 30).

2. EMOZIONE E COGNIZIONE - 2.1. Il cervello: al "cuore" del problema

Studiosi di varie discipline sono concordi sul fatto che alla base di ogni decisione d’acquisto s’inneschi un meccanismo il cui risultato è l’assegnazione di un valore: la soluzione sta nel capire come questo funziona e quali processi neurali sono coinvolti in quest’assegnazione; il marketing emozionale ha proprio quest’obiettivo ma per capire bene in cosa consista e come funzioni nella mente dei consumatori è necessario attingere dal passato, seguendo un percorso evolutivo che di recente ha raggiunto sorprendenti risultati. L’eterno dualismo cuore-cervello, ritenuti responsabili rispettivamente dell’emozione e del ragionamento cosciente, si è consumato a lungo e nel corso dei secoli ha travolto in maniera trasversale ogni disciplina: le scienze, la filosofia e non ultima l’economia.


La ragione che ha indotto a credere che il cuore fosse la sede di ogni emozione stava nella sua facilità di studio e di misurazione, a dispetto del cervello di cui ancora oggi si conosce relativamente poco rispetto alle sue reali potenzialità; un battito cardiaco accelerato, una maggiore irrorazione sanguigna sul volto erano sintomi che collegavano direttamente il cuore alle emozioni. Eppure già Ippocrate (460-370 a.C.) ebbe l’intuizione di collegare il cervello ai sentimenti umani:«L’uomo deve sapere che null’altro che dal cervello, provengono gioie, piaceri risate e divertimenti e dolori e tristezze, sconforto e lamenti» centrando così il “cuore” del problema. Ma i suoi successori non ebbero miglior fortuna ed il problema di Cartesio di come riuscire a congiungere e a far interagire due sostanze differenti ne è un esempio lampante.

La ragione prende definitivamente il sopravvento tra Seicento e Settecento sulla scia di un cieco Illuminismo che sanciva ormai la sudditanza emotiva in virtù di una ragione superiore, la quale avrebbe condotto al progresso ed alla felicità degli uomini senza il condizionamento dei sentimenti.

L’emozione viene classificata come qualcosa di dannoso, le passioni hanno solo connotazioni negative che è bene evitare, basti pensare solo al Cristianesimo che vietava (e lo fa tuttora) ogni genere di pulsione perché portatrice di peccato. La ragione quindi diventa un faro illuminante, un principio da seguire ed il giusto mezzo per apprendere.

Le posizioni degli studiosi però iniziano a cambiare prospettiva grazie soprattutto alle nuove scoperte delle neuroscienze che ridimensionano il ruolo cognitivo svolto dal cervello e sottolineano invece la pervasività dell’emozione nell’apprendimento degli stimoli provenienti dall’ambiente. In altre parole l’interpretazione delle informazioni che ogni giorno siamo chiamati a fare non ha solo un livello cognitivo e quindi razionale, ma anche (e soprattutto) un livello emotivo come dimostrato da LeDoux: «il fatto che l’apprendimento emotivo possa venire mediato da percorsi che aggirano la corteccia è intrigante: suggerisce che le risposte emotive possono avvenire senza coinvolgere i sistemi di elaborazione superiore del cervello che dovrebbero essere coinvolti nel pensiero, nel ragionamento e nella coscienza» (LeDoux, Joseph, 1996, The Emotional Brain. The Mysterious Underpinning of Emotional Life, Simon & Schuster, New York (trad. it. Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, II edizione, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2003) pag. 167) .

La pratica del consumo viene così investita di nuovi attributi e significati: i prodotti non hanno solo aspetti funzionali e pratici ma diventano segni di qualcosa di più intimo e privato legati alla sfera emozionale. Il problema da risolvere per il marketing diventa quindi capire come queste emozioni si formano, analizzare il meccanismo inconscio che codifica tutte le informazioni nella mente ed in che modo possono essere rievocate. Per fare questo, la convergenza tra marketing e neuroscienze risulta determinante per comprendere le dinamiche innescate dagli stimoli e di conseguenza il perché si preferisca un prodotto piuttosto che un altro.

Il nostro cervello è formato da due emisferi, destro e sinistro, che compiono funzioni differenti ma interagenti: l’emisfero sinistro, proprio perché sede del linguaggio e collegato quindi alla straordinaria capacità di generare pensieri e ragionamenti, è stato definito dagli studiosi del secolo scorso come l’emisfero dominante mentre quello destro secondario; Roger W. Sperry, premio Nobel per la medicina nel 1981 al quale si deve proprio la scoperta delle diverse funzioni degli emisferi cerebrali grazie alla tecnica dello split-brain, commenta in questo modo:«In poche parole, la società ha un atteggiamento discriminante nei confronti dell’emisfero destro».
Funzioni degli emisferi cerebrali

Indagare la parte destra del cervello apre quindi orizzonti inaspettati specialmente per chi si occupa di strategie di marketing ed offre una maggiore comprensione dei consumatori e delle loro abitudini d’acquisto.


Siamo ora in grado d’indicare quali zone del cervello vengono attivate e coinvolte nella produzione di una parola, nella soluzione di un problema o nella scelta di un compagno, «eppure» - ricorda LeDoux - «i processi mentali non sono funzioni di certe aree del cervello in senso stretto. Ogni area opera attraverso il sistema di cui fa parte» (Ivi, pag. 79) . Le scienze che si occupano proprio del funzionamento e dello studio del cervello sono chiamate neuroscienze.

giovedì 22 luglio 2010

Considerazioni - capitolo I

Il cambiamento è parte della natura umana e le varie mutazioni sia dell’ambiente sia dell’uomo stesso rappresentano la fonte dell’evoluzione; il marketing, avendo come oggetto di studio proprio i bisogni, gli atteggiamenti ed i desideri dei consumatori non poteva non esserne coinvolto.


La metabolizzazione dei cambiamenti è uno dei problemi fondamentali al quale l’impresa cerca, di volta in volta, di dare soluzioni: i diversi orientamenti, l’attenzione verso tutte le variabili, la nascita del CRM e delle piattaforme informatiche in grado d’interagire con i clienti sono tutti esempi degli sforzi condotti per far fronte all’evoluzione del contesto competitivo.

Ma il cambiamento più grande si ha con le scoperte neuroscientifiche che sanciscono un nuovo punto di vista, una prospettiva mai considerata prima dall’economia: la sudditanza della ragione nelle scelte di consumo a vantaggio della sfera emotiva che provoca un capovolgimento delle convinzioni possedute e che, inevitabilmente, presenta all’impresa nuove sfide.

Si apre un nuovo capitolo per l’economia; l’introduzione di una variabile tenuta fino a qualche anno fa a debita distanza che destabilizza e cambia il risultato dell’equazione: l’emozione.

Capire e soprattutto utilizzare i risultati delle ricerche neuroscientifiche per implementare le scelte strategiche dell’impresa è sicuramente un’arma in più che, in un contesto altamente competitivo, potrebbe fornire non pochi vantaggi, sia profittevoli sia in termini d’immagine.

Dove porteranno queste nuove scoperte ancora non è dato saperlo: abbiamo appena varcato le Colonne d’Ercole ed il viaggio, si sa, presenterà non poche difficoltà.

1.6. Due passi indietro

Ogni cambiamento è figlio del suo tempo: se da un lato la modernità ha rivoluzionato la condizione umana ridefinendo i limiti concessi all’uomo con la crescente fede riposta nella tecnologia e nella sua superiorità rispetto al mondo naturale che lo ha portato a preferire l’Io al Noi, dall’altro la postmodernità mettendo a disposizione di tutti prodotti, merci e cultura, ha finito per disaggregare valori ed esperienze di ogni genere.


Come messo in evidenza da Lyotard ne La condizione postmoderna (Lyotard, Jean-François, 1980, La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli) , la produzione in serie dei prodotti ha finito per eliminare il valore a loro attribuito in virtù del fatto che replicare qualcosa all’infinito comporta la perdita dell’originalità; in questo modo anche una semplice decisione può risultare difficile proprio perché i punti di riferimento diventano più opachi.

La frammentazione dei valori, la loro disaggregazione e la fragilità delle identità rappresentano le caratteristiche principali dell’età postmoderna che il marketing dovrà assimilare per rispondere al meglio alle sfide del futuro. Eppure, «la globalizzazione dell’economia e dunque della società» - spiega Cova - «[…] può diventare un acceleratore del movimento inverso, indirizzato alla ricerca di radici e di stabilità» (Cova, Bernard, 2007, Il marketing tribale. Legame, comunità, autenticità come valori del Marketing Mediterraneo, Milano, Il Sole 24 Ore, pag. 79) che si traduce, per il marketing, in una ricostruzione del vissuto quotidiano nella prospettiva emotiva del consumatore.

Il paradosso consiste proprio nel fatto che solo grazie alle nuove tecnologie e alle recenti scoperte fatte dalle neuroscienze è possibile comprendere ed interpretare le scelte ed i valori attribuiti dai consumatori ai propri acquisti che sono solo in parte decisioni razionali. La convergenza delle varie discipline, tra le quali la sociologia, la linguistica, le neuroscienze e la psicologia sono di grande aiuto all’economia per capire i cambiamenti dei propri clienti e per ridefinire i propri prodotti. La qualità infatti sembra non essere più il discrimen sulla base del quale il consumatore sceglie i propri prodotti; altri fattori di natura emotiva entrano in gioco nel processo d’acquisto: da qui la necessità per l’impresa di creare un’offerta di valore che sia in grado d’integrare aspetti funzionali ad aspetti emozionali. La differenza tra un prodotto tradizionale ed uno emozionale è stata puntualmente sottolineata da Barberis affermando che «[…] nel primo caso il possessore percepisce la sensazione materiale del possedere, che dopo un breve periodo perde l’intensità, nel secondo caso il possessore si sente parte di un gruppo elitario, ed il passare del tempo amplifica tale sensazione […]» (Barberis, Massimo, 2006, Marketing Emozionale, Strategie di comunicazione nel mercato della new generation, Roma, Valter Casini Editore, pag. 26) .

In un mercato maturo in cui le possibilità di scelta del consumatore sono numerose e la concorrenza è molto alta, l’azienda finalmente punta sempre di più verso prodotti di tipo emozionale, che non significa dare o promettere al cliente qualcosa di stupefacente o fuori dal normale, ma che al contrario evochi qualcosa di familiare e già presente nella sua mente e, attraverso un déjà-vu, riesca a fermare il ricordo di quel prodotto o di quella marca associandolo ad emozioni già conosciute.

Ma quando si parla di emozione si entra in un territorio minato sul quale poche luci sono state ancora accese: ecco perché la convergenza tra diverse discipline è indispensabile per avere una visione a tutto tondo di questo terreno inesplorato.

Un passo avanti dunque è stato fatto dalle nuove tecnologie nella ricerca di nuovi modelli organizzativi e di nuovi approcci metodologici; tutto per tornare al problema di sempre.

Cognizione ed emozione, ragione e sentimento.

Concetti che da sempre, a partire dalla filosofia, hanno tolto sonno a molti ma che mai si sono potuti approfondire per la loro complessità. La nascita spontanea di un’emozione, la possibilità d’indurla o addirittura di misurarla sono le nuove frontiere offerte dalle neuroscienze e dal progresso tecnologico: capirne il funzionamento e l’utilizzo di questi dati è di vitale importanza per l’impresa che avrebbe così a sua disposizione un’arma in più, forse la più forte, forse la più efficace.

Per quanto lo sguardo del progresso sia proiettato sempre un passo avanti, i suoi tentativi sono quasi sempre rivolti verso la soluzione di questioni sempre esistite: in fin dei conti, due passi indietro.

1.5. Customer Relationship Management

Il Customer Relationship Management (CRM) rappresenta la traduzione del bisogno delle aziende di raccogliere ed utilizzare il patrimonio delle informazioni riguardanti i clienti per aiutarle a realizzare nuove opportunità intrattenendo rapporti di tipo one-to-one grazie soprattutto all’uso delle nuove tecnologie informatiche.


Questa organizzazione aziendale non è soltanto una soluzione tecnologica che facilita le operazioni di marketing relazionale ma soprattutto una filosofia gestionale particolare che investe tutte le funzioni dell’impresa. Grazie all’utilizzo del CRM è possibile: a) diminuire la perdita di clienti; b) disporre di una relazione duratura e longeva per ogni singolo cliente; c) aumentarne la redditività. Oltre ad avere risvolti positivi per l’impresa le strategie one-to-one, come sottolineato da Barberis ,«hanno un ulteriore risvolto, di natura psicologica, sul consumatore. […] l’essere oggetto di un’attenzione tanto personalizzata porta ad una maggiore propensione all’ascolto che se sfruttata adeguatamente determina una maggiore propensione all’acquisto» (Barberis, Massimo, 2006, Marketing Emozionale, Strategie di comunicazione nel mercato della new generation, Roma, Valter Casini Editore, pag. 44).

Per poter perseguire strategie di questo tipo è però necessario un database con tutte le informazioni relative ai propri clienti e sulle loro abitudini: acquisti effettuati, preferenze (attività particolari o interessi), informazioni demografiche (come il sesso, l’età, il reddito) ed ogni altro tipo d’ informazione utile in modo che si possa categorizzare la loro profittabilità per individuare le azioni mirate da promuovere.

Una volta raccolti, questi dati vengono organizzati in un data warehouse, un archivio informatico che è possibile interrogare grazie ad attività di data mining che permettono di estrarre una conoscenza esistente ma non evidente all’interno dei dati dell’archivio attraverso complicati algoritmi.

Applicazioni di un CRM


I possibili usi di queste informazioni sono molteplici:

- aumentare la fedeltà dei clienti offrendo loro prodotti e promozioni personalizzate;
- in base alle informazioni disponibili è possibile decidere quali clienti saranno i destinatari di offerte su misura;
- adottare strategie di tipo push per sollecitare in periodi particolari (feste, saldi, ricorrenze) la domanda di alcuni beni.

Oltre agli aspetti positivi, il CRM possiede anche delle note dolenti che è bene mettere in conto per ogni azienda che voglia intraprendere questo tipo di strategia: a) la creazione e la gestione di un sistema così grande d’informazioni comporta grandi investimenti che solo grandi imprese posso permettersi (spese hardware, concessione di software, programmatori ecc.);

b) nel momento in cui viene implementata la strategia di marketing con un sistema di gestione CRM, quest’ultimo diventa il centro del sistema e questo cambio di filosofia potrebbe essere mal digerito da tutti i dipendenti comportando quindi un rifiuto della partecipazione attiva di tutte le funzioni aziendali;

c) l’utilizzo del database non conviene se si tratta di beni il cui acquisto avviene poche volte nella vita, o quando il costo dell’acquisizione dell’informazione è superiore al profitto ricavabile;

d) la crescente attenzione per la privacy porta molti clienti ad una diffidenza verso l’azienda e potrebbe non dare il consenso al trattamento dei propri dati o addirittura falsificarli.

Comunque sia si assiste con l’applicazione di questo genere di strategie ad un recupero della relazione produttore-cliente, la quale viene considerata un valore aggiuntivo dell’impresa che crea in questo modo un vero e proprio prodotto: la sua personale rete di contatti.

1.4. Cambia-menti

Il termine globalizzazione è forse uno dei più in voga degli ultimi anni che però porta con sé conseguenze che non sono state ancora metabolizzate; la definizione che viene data è quella di un «fenomeno di unificazione dei mercati a livello mondiale, consentito dalla diffusione delle innovazioni tecnologiche che hanno spinto verso modelli di consumo e di produzione più omogenei e convergenti» (Da: Treccani.it) che quindi investe prima di ogni cosa la sfera economica. Unificazione non significa però solo interrelazioni reciproche tra i mercati, ma anche e soprattutto interdipendenza globale per la quale modifiche che avvengono in un Paese si ripercuotono inevitabilmente in tutti gli altri.


L’abbattimento delle barriere fisiche, giuridiche e culturali va a potenziare le opportunità economiche a livello globale ma se da un lato consente sbocchi maggiori per le aziende, dall’altro va ad aumentare la concorrenzialità nei settori in modo che - come spiega Lambin - «ciò che accade in un mercato influenza gli altri mercati» (Lambin, 2004, pag. 45) . Secondo questa prospettiva, il progressivo evento di rottura stabilito dalla globalizzazione rende l’equilibrio generale precario e molto incerto al presentarsi di eventi di natura incontrollabile: una crisi finanziaria, una catastrofe naturale o peggio ancora una guerra; il problema che quindi si presenta alle aziende è quello di trovare «[…] un equilibrio tra flessibilità e formalizzazione delle regole di condotta, standardizzazione e adattamento dei prodotti e delle marche, centralizzazione e delega delle decisioni» (Ibidem) in modo così da tamponare eventuali cambiamenti repentini.

Tuttavia, la globalizzazione non è la sola responsabile dei maggiori cambiamenti in atto: il boom e lo sviluppo delle nuove tecnologie d’informazione e comunicazione camminano di pari passo creando quello che Lambin identifica come «un effetto di amplificazione degli eventi su scala planetaria» (Ivi, pag. 43) .


Viene così a teorizzarsi il villaggio globale di McLuhan in cui ogni persona presente sul pianeta è in grado di comunicare con le altre andando a formare una società connessa che rivendica un ruolo più attivo nelle decisioni economiche: consumatori e cittadini non vengono più considerate come entità astratte ma come persone che scambiano opinioni ed idee favorendo così relazioni sia di tipo one-to-one che di tipo comunitario.

Questo ha favorito la nascita di un nuovo strumento importantissimo oggi per l’impresa: il web come spazio pubblicitario.

La creazione di siti internet interamente dedicati ai prodotti dell’azienda e la presenza di banner (annunci pubblicitari sul World Wide Web) disseminati nella rete e nei più longevi motori di ricerca costituiscono un’ulteriore possibilità commerciale con una duplice caratteristica: essendo online può essere raggiunta da qualsiasi persona in qualunque momento ed il suo impatto risulta facilmente misurabile. Grazie infatti al numero del CTR (Click-Through-Rate) che in italiano significa “percentuale di clic”, è possibile quantificare gli utenti che non solo visualizzano ma che cliccano sul banner, diventando quindi potenziali clienti. Il funzionamento è molto semplice: quando si naviga tra siti e pagine web e si clicca su un annuncio reputato interessante, l’utente viene trasferito dal sito che contiene il banner al server dell’azienda committente ed in un secondo momento l’editore che ha avuto il compito di pubblicarlo invia un rapporto al suo committente con la statistica e la percentuale degli utenti che sono stati indirizzati sul server dell’azienda.

Internet, a differenza dei suoi fratelli maggiori, presenta però una peculiarità ancora di difficile imitazione: l’interattività. Attraverso il web è infatti possibile non solo informare, ma comunicare: chiedere informazioni o chattare con chi ha già acquistato e testato il prodotto, dare consigli o inserire opinioni su una determinata marca piuttosto che un’altra. Il mezzo quindi si presta ad una pluralità d’applicazioni consentite proprio dalla sua bidirezionalità.

Oltre alla possibilità di pubblicizzare e comunicare con i propri clienti, la rete offre la possibilità della vendita diretta, di notevole importanza per l’azienda che in questo modo scavalca l’intermediario con un notevole taglio sui costi di transazione. L’utilizzo del marketing diretto si avvale, oltre che della piattaforma web, di altri strumenti come l’invio di mail (grazie all’enormità di banche dati sempre più aggiornate), il telemarketing ( i call center ne sono un esempio), o la televendita.

Questo avvicinamento al cliente finale da parte del produttore si traduce in un altro importante cambiamento e cioè nella disintermediazione dei distributori più che altro fisici: gli utenti, se per reperire le informazioni di loro interesse dovevano recarsi nei negozi o nei rivenditori autorizzati investendo quindi tempo e denaro, possono ora farlo comodamente sul divano navigando in rete. Ma se da un lato molti hanno subito di fatto questo cambiamento, altri ne hanno raccolto i frutti creando una nuova schiera d’intermediari individuati da Lambin con il termine «infomediari», che si sostituiscono al cliente potenziale nella ricerca e comparazione, in base a criteri selezionati da quest’ultimo, dei prodotti richiesti.


Questo diminuisce il tempo necessario per la ricerca da parte del cliente proprio perché i risultati sono informazioni pertinenti solo ai prodotti desiderati e perché infine facilitano la propensione all’acquisto.

Come sottolineato da Kotler, «la new economy è fondata sul business delle informazioni» (Kotler, 2007, pag. 45) le quali si prestano ad una molteplicità di funzioni che le aziende hanno scoperto ed utilizzato per tutti i rapporti intrattenuti con ogni categoria di stakeholder. Il vantaggio principale delle informazioni consiste nel fatto che queste possono essere manipolate e che ogni informazione è portatrice di altre che, se accuratamente combinate, possono fornire importanti spunti per il miglioramento delle relazioni. Il progressivo utilizzo di tali informazioni ha consentito l’adattamento, la personalizzazione e la differenziazione delle offerte di mercato per ogni consumatore e molte imprese utilizzano questo approccio per la fidelizzazione dei propri clienti.

C’è però una doverosa differenza da sottolineare tra il processo di personalizzazione e quello di customerizzazione. La personalizzazione si riferisce al servizio che il produttore fornisce ai proprio clienti, come la differenziazione di un prodotto; mentre la customerizzazione concilia sia la personalizzazione dei prodotti, su misura per ogni cliente, sia la personalizzazione delle leve di marketing dove il servizio fornito dall’impresa viene configurato dal cliente secondo le proprie esigenze attraverso l’instaurarsi di un rapporto bidirezionale.
La crescente attenzione verso la relazione con la clientela e la maggiore quantità d’informazioni a disposizione dell’impresa sono il preludio della nascita di un nuovo tipo di gestione e cioè un processo finalizzato alla creazione ed al mantenimento di tali relazioni: il CRM.



La Dell computer, azienda fornitrice di computer, soluzioni tecnologiche ed accessori, consente dal proprio sito di personalizzare la scelta dei portatili dando la possibilità ad ogni singolo visitatore di scegliere i componenti desiderati e di assemblarli nella maniera più consona alle proprie esigenze.



Questo dà all’azienda la possibilità di soddisfare in pieno le esigenze dei consumatori che in pochi giorni hanno la possibilità d’avere direttamente al domicilio il proprio portatile: il computer è ora veramente “personal”. Dell, nata inizialmente come società operante esclusivamente online, solo di recente ha ridefinito i propri obiettivi di business cambiando strategia ed iniziando ad intrattenere rapporti con la grande distribuzione attraverso intermediari del settore come le catene specializzate Mediaworld o Euronics, per migliorare fattori come l’assistenza alla clientela che viene concessa sotto delega agli intermediari.
Vedi anche: Customer Relationship Managament

1.3.2. ...in azione

Estetica e funzionalità rappresentano l’eterna dicotomia tra forma e sostanza, che oggi sembra essere ormai superata per il semplice fatto che il nuovo consumatore esige entrambe; si tratta quindi di come dare forma alla sostanza, e se il marketing strategico risponde alla domanda “ Che sostanza vogliamo mettere sul mercato?”, il marketing operativo dovrà necessariamente rispondere alla domanda “Che forma vogliamo dare a questa sostanza?”.


Quando si tratta di dare l’ultima risposta in gergo si parla di marketing mix, cioè delle leve di manovra e di tutte quella attività che si hanno a disposizione per poter tradurre in azione la strategia delineata nella fase di marketing strategico.

Le decisioni riguardano: il prodotto, il prezzo, la sua distribuzione e la sua comunicazione; ovviamente il nostro lavoro si concentrerà sull’ultima variabile in gioco (siamo pur sempre dei comunicatori) e sulle principali determinanti strategiche.

Avere tra le mani un’offerta più che vantaggiosa non significa necessariamente riuscire a ricavarne dei profitti; l’offerta deve essere conosciuta, valutata, elaborata dai consumatori ed ogni azione di marketing operativo comporta quindi la stesura di un communication mix che propone alle aziende strumenti come la pubblicità, le pubbliche relazioni, la forza vendita e le relazioni esterne in grado di attivare o stimolare i consumi, fidelizzare la clientela o addirittura modificare le abitudini d’acquisto. Naturalmente ciascuna leva possiede proprie caratteristiche e sarà in base al prodotto ed al suo posizionamento che l’impresa deciderà se e come utilizzarli; il fatto però che il marketing sia considerato solo un processo di creazione pubblicitaria intorno ad un prodotto la dice lunga sul cambiamento in atto.

I beni più preziosi che circolano oggi non sono materiali ma intangibili: si chiamano informazioni; l’organizzazione, la gestione ed il loro possesso rende sicuramente il lavoro più semplice all’impresa ma proprio per questo motivo il modello, seppur sempre attuale e di grande aiuto nella pianificazione operativa, risulta per certi versi incompleto alla luce dei cambiamenti registrati sia per quanto riguarda gli stili di vita ed i benefici ricercati dai consumatori sia per alcune variabili esterne che per ragioni esplicative abbiamo lasciato alla fine.

L’importanza sempre crescente delle informazioni è dovuta all’evento di rottura che ha caratterizzato l’inizio di questo nuovo secolo: l’era digitale. La circolazione e la condivisione di dati e files è diventata istantanea, sono state letteralmente abbattute tutte le barriere nazionali ed internazionali ed in pochi secondi una singola informazione è in grado di viaggiare e raggiungere l’altro capo del mondo.

Questo non poteva che condizionare i mercati e soprattutto le aziende che, oltre agli strumenti tradizionali, ne hanno ora di nuovi per poter implementare il mix di comunicazione operativa come il direct marketing, lo spazio sul web come spazio pubblicitario e di rafforzamento dell’immagine e sistemi di database delle informazioni (Customer Relationship Management) sempre più sofisticati che si occupano della gestione della relazione con la clientela.

L’importanza oggi attribuita alle singole informazioni è da ricercarsi in alcuni eventi che si sono susseguiti in questi anni e che hanno sensibilmente cambiato non solo la gestione dei processi all’interno delle aziende ma anche, e soprattutto, la nostra vita.

Vedi anche: Strategia...

1.3.1. Strategia...

La fase di marketing strategico rappresenta la più importante e delicata di tutto il processo, proprio perché è da qui che ha inizio il meccanismo che porterà alla luce un nuovo prodotto: sbagliare qui significherebbe compromettere non solo la riuscita dell’offerta ma tutto l’equilibrio del sistema-impresa (essendo tutte le aree strategiche d’affari interdipendenti tra loro).


La partizione dei mercati e l’individuazione dei mercati-obiettivo costituiscono pertanto una scelta di natura strategica e la scelta dei criteri di segmentazione assume un’importanza rilevante. Ovviamente, per essere mirato e servire allo scopo, ogni segmento deve necessariamente essere misurabile, accessibile, facilmente riconoscibile dagli altri ed essere terreno fertile per l’impostazione dell’offerta di valore dell’azienda. Il criterio più frequentemente utilizzato è la segmentazione demografica dove vengono utilizzati dati quali la nazionalità, l’età, il reddito, il sesso, l’occupazione, la religione secondo il principio che i bisogni e le aspettative sono direttamente correlate a queste variabili ed in secondo luogo per la facilità di reperimento delle informazioni. Altro tipo di segmentazione, più complessa della precedente, è quella psicografica dove gruppi di clienti sono suddivisi secondo la loro classe sociale, il loro stile di vita e la loro personalità; la segmentazione comportamentale invece classifica e divide i consumatori in base all’uso che fanno del prodotto secondo le occasioni d’acquisto, l’intensità dell’uso ed i vantaggi ricercati.

Queste metodologie sono difficili da perseguire proprio per la complessità e la difficoltà delle informazioni da raccogliere, oltre che molto costose (comportano infatti ingenti somme di denaro per tutte le fasi delle ricerche di mercato) ma un principio vale per ognuno dei criteri menzionati: qualsiasi sia il metodo di lavoro scelto, il monitoraggio e la segmentazione deve avvenire costantemente ad intervalli regolari, perché i segmenti non si cristallizzano in virtù del fatto che, come visto precedentemente, i bisogni dei consumatori cambiano e si evolvono nel tempo.

Una volta finita la fase di scomposizione del mercato, si procede a scegliere in quale segmento operare (o quali); si tratta quindi di scegliere a quale gruppo di consumatori rivolgersi: la scelta del target avviene in base ad un’analisi fatta ex ante di tutti i punti forti (Strengths) e deboli (Weaknesses) dell’azienda e delle opportunità (Opportunities) e minacce (Threats) presenti nell’ambiente chiamata SWOT analisys (ecco perché il monitoraggio dei fattori ambientali ha un’importanza cruciale per il profitto dell’impresa) e sulla base delle proprie risorse disponibili e dal grado di attrattività del segmento.

In base a quanto detto fino ad ora, l’azienda arriva alla terza fase del marketing strategico e cioè alla definizione del proprio posizionamento in base al vantaggio competitivo detenuto, cioè in funzione delle caratteristiche superiori e difendibili del proprio prodotto (o marca) rispetto ai concorrenti.

Il posizionamento altro non è che la rappresentazione occupata dall’offerta dell’azienda all’interno della mente del proprio target: nulla di tangibile quindi che non lavora su un livello di prodotto ma di percezione di prodotto; non a caso ad introdurre nel marketing questo termine sono stati due pubblicitari e non due economisti, Al Ries e Jack Trout in un famoso libro intitolato Positioning stampato nel 1984 dalla casa editrice McGraw-Hill. In realtà il concetto di posizionamento non appartiene solo ed esclusivamente all’economia ed al marketing, direi piuttosto che si tratta di qualcosa di universale. Ad esempio possiamo parlare di posizionamento di un partito politico: gli aristocratici agli occhi della nostra mente equivalgono ad un gruppo elitario, nobile di nascita, molto ricco, con molti privilegi e diciamolo … anche con la puzza sotto il naso. Ma non è tutto, esiste anche il posizionamento di una città: Parigi è da sempre considerata da tutti come la meta di ogni coppia innamorata essendo per antonomasia la capitale dell’amore.

Ries e Trout non hanno quindi inventato il concetto, lo hanno semplicemente contestualizzato ed in un certo senso reso di facile intuizione, visto che ognuno di noi nella mente ne aveva già una seppur vaga ed inconscia presenza ed è proprio di un particolare tipo di posizionamento che parleremo ampiamente nel capitolo successivo.

La scelta di uno o più posizionamenti per lo stesso concetto di prodotto rappresenta per l’azienda il canovaccio dal quale scaturirà poi tutto il marketing operativo che dovrà avere coerenza e rafforzare l’offerta di valore; ma ad oggi, vista la sovrabbondanza delle informazioni e delle pubblicità che bombardano senza tregua la mente dei consumatori, molti posizionamenti non hanno più effetto per due motivi:

- il nostro cervello è in grado di trattenere solo una quantità limitata d’informazioni;
- gran parte dei posizionamenti esistenti, specialmente nei mercati dei beni di consumo, sono saturi.

L’unica àncora di salvezza risulta quindi quella di riuscire ad entrare nella mente del consumatore occupando una posizione che nessuno ha ancora assunto andando a toccare quelle corde mai toccate prima: le sue emozioni.

Come sottolineato da Gallucci, l’emozione prende piede e si afferma «perché introdotta a forza da due elementi: l’information overload e il conseguente caos multimediale, e il principio consumistico del piacere» (Gallucci, Francesco, 2007, Marketing Emozionale, Milano, Egea, pag. 21) . L’information overload è il sovraccarico d’informazioni di cui oggi disponiamo, sia a livello di messaggi che a livello di canali utilizzati ed utilizzabili, mentre il principio consumistico del piacere fa parte del cambiamento degli stili di vita che caratterizza l’età postmoderna, in cui prodotti e servizi vengono per così dire “consumati” non proprio per il loro uso ma per ciò che essi rappresentano ed equivale proprio a ciò che Rolf Jensen, uno studioso di nuove tendenze, ha teorizzato per lo scenario del futuro nel quale «il profitto sarà generato dai contenuti emotivi degli stessi prodotti. Le aziende diventeranno proprietarie di storie sui prodotti e sulle marche piuttosto che proprietarie di prodotti e saranno capaci di inserire i nuovi prodotti all’interno delle storie esistenti» (Ivi, pag. 17) .

Diretta conseguenza del posizionamento è l’applicazione del principio di differenziazione che consiste in una serie di caratteristiche aggiuntive che differenziano l’offerta dell’impresa da quella dei concorrenti. Tale strategia competitiva, per essere efficace, deve avere secondo Lambin determinate caratteristiche:

- rendere il prodotto un elemento unico;
- avere agli occhi del segmento-target un valore superiore;
- essere difendibile a medio e lungo termine.

L’obiettivo di ogni marketing strategico è esattamente questo: riuscire ad avere un potere di mercato che metta al riparo l’impresa, generando profitto e mantenendolo verso una prospettiva di medio e lungo termine. Esistono poi vari gradi di differenziazione che possono riferirsi al prodotto, al servizio, al personale di vendita, al canale utilizzato o all’immagine: noi ci soffermeremo nei capitoli successivi sul grado di differenziazione dell’immagine sulla base di bisogni emozionali.

I punti di vista dal quale osservare il posizionamento sono due: denotativo e connotativo. Il primo si riferisce a tutti gli elementi che l’impresa ha a disposizione per la costruzione dell’identità del prodotto o della marca (product identity o brand identity) che sono la traduzione dell’immagine desiderata del prodotto e costituisce ciò che il prodotto stesso è per l’azienda; ma il posizionamento ha soprattutto un punto di vista connotativo che è quello del consumatore, il quale non ha una coscienza reale dei prodotti delle imprese ma solo riflessa, dalla quale ne ricava un’immagine (product image od anche brand image), una percezione dell’identità che viene filtrata secondo il proprio vissuto soggettivo. Più il gap che si crea tra le due attività diminuisce più l’identità dei prodotti o delle marche così come pensate dalle aziende sarà corrispondente all’immagine che i consumatori hanno: questo compito spetta anche e soprattutto al marketing operativo.

Vedi anche: ...in azione

1.3. Marketing strategico ed operativo

Più volte abbiamo menzionato nella nostra analisi il concetto di struttura verticale del marketing andatosi a creare col passare del tempo e col cambiamento dell’ambiente esterno e competitivo, ma non ne abbiamo ancora spiegato le caratteristiche; la scelta è stata di natura strategica proprio per lasciare spazio all’indagine dei fattori che hanno concorso alla formazione di tale struttura. Ora siamo pronti a comprenderne più a fondo la composizione: capire il perché del succedersi delle cose aiuta a comprenderne meglio anche la natura.


Per i non addetti ai lavori il marketing rappresenta quella parte del processo aziendale che si occupa della promozione, comunicazione e pubblicità dei prodotti. Ed in parte è vero; ma come in tutte le cose c’è sempre una porzione del meccanismo che non si vede ma che ha un’enorme influenza sui processi successivi, un tassello troppo importante senza il quale ogni azione risulterebbe vana o comunque meno efficace. Ciò che noi vediamo è solo la punta dell’iceberg di un sistema in realtà molto più complesso. Prima di ogni attività aziendale è necessaria infatti un’indagine preliminare per determinare i bisogni e le aspettative dei clienti e la raccolta d’informazioni sui mercati in cui si vuole operare; la struttura verticale del processo di marketing si basa proprio sul principio della necessità di una conoscenza approfondita sia degli elementi interni che di quelli esterni.
Struttura verticale del marketing

E’ proprio su questo file rouge che Lambin definisce il marketing strategico come «un’analisi sistematica e continuativa dei bisogni del mercato e lo sviluppo di nuovi concetti di prodotto competitivi, destinati a gruppi di clienti specifici e che presentano delle caratteristiche distintive che li differenzino dai concorrenti diretti, assicurando in tal modo al produttore un vantaggio competitivo duraturo e difendibile» (Lambin, 2004, pag. 5) mentre il marketing operativo come «l’organizzazione di strategie di commercializzazione, il cui obiettivo è quello di far conoscere e valorizzare presso i clienti potenziali le qualità distintive vantate dai prodotti offerti» (Ibidem) .


Ma procediamo con ordine. Quello che mi preme sottolineare sin da ora è la linearità e la continuità delle due definizioni che, chiaramente, si rimandano a vicenda: se il marketing strategico definisce i contorni dell’analisi, individua il target ed i suoi bisogni e progetta in base a questi nuove offerte di mercato, il compito del marketing operativo è quello di dare concretezza e coerenza all’offerta di valore definita dalla strategia.

Tutte le attività del marketing strategico possono essere sintetizzate con l’acronimo STP, cioè segmentazione, targeting e posizionamento secondo il modello utilizzato da Kotler (Kotler, 2007, pag. 372) , mentre il marketing operativo si occupa dell’organizzazione, gestione e monitoraggio delle ormai famosissime “quattro P” teorizzate da McCarthy già nel 1960.

Marketing strategico ed operativo, insieme, rappresentano quello che Noam Chomsky identifica con il principio dell’infinità discreta del linguaggio teorizzato da Cartesio: da un insieme finito di elementi (le lettere dell’alfabeto per il linguaggio e gli elementi che contraddistinguono le fasi di marketing strategico ed operativo, vale a dire STP e le 4P) è possibile produrre un insieme infinito (le frasi del linguaggio ed i prodotti) grazie al criterio della ricorsività che rappresenta il processo secondo il quale le stesse regole formali (siano esse regole sintattiche o regole strategiche) possono essere riapplicate indefinitamente sul loro risultato.

Ecco perché la comunicazione umana e l’organizzazione aziendale rappresentano un sistema sempre aperto: per la loro capacità di generare frasi e creare prodotti sempre nuovi.

1.2.5. Il distributore

Il rapporto tra produttore e distributore è sempre stato, fin dalla nascita di quest’ultimo, di tipo cooperativo: avendo interessi comuni i due soggetti trovavano accordi commerciali vantaggiosi che non andavano ad intaccare gli interessi dell’altro proprio perché appartenenti a categorie differenti.


L’intermediazione del distributore comporta per il produttore un grande vantaggio che si traduce in un «[…] incontro efficace tra l’offerta e la domanda» (Lambin, 2004, pag. 329) e lo sgrava dal delicato compito di farsi carico di ogni relazione di scambio con i potenziali clienti oltre che di numerosi oneri gestionali ed amministrativi; la delega concessa su alcuni elementi dell’aspetto commerciale dei prodotti lascia invece libero spazio al distributore che ha la possibilità di occuparsene in modo più completo e professionale e con meno costi rispetto al produttore dovuti al raggiungimento di economie di scala: occupandosi infatti anche delle funzioni di stoccaggio e frazionamento, l’intermediario ha la possibilità di acquistare dai produttori grandi quantità di prodotti che vengono poi raggruppati ed in questo modo si ritrova a gestire volumi di beni molto più ampi.

In assenza degli intermediari, i produttori produrrebbero solo piccole quantità alla volta non avendo gli strumenti per lo stoccaggio ed il frazionamento e ciò comporterebbe notevoli disagi innanzitutto per le aziende produttrici che si vedrebbero lievitare i costi di gestione e poi per i clienti. Con il passare del tempo un altro punto di forza del distributore si è rivelato essere la funzione di creare un assortimento che moltiplichi le possibili scelte dei consumatori; ovviamente è solo il distributore che può garantire tale assortimento poiché si rivolge a più produttori concorrenti fra di loro.

Tutto quanto detto finora, insieme alla vicinanza nei confronti del cliente finale che il distributore detiene a dispetto delle aziende produttrici, ha provocato un aumento notevole del loro potere contrattuale che quindi ha generato un cambiamento di rapporti specialmente per quanto riguarda la GDO ed il settore dei beni di consumo.

La capacità di gestione di questo potere contrattuale si è notevolmente accentuata nel momento in cui la grande distribuzione ha ridefinito i propri obiettivi strategici dando maggiore spazio a quello che una volta era ad esclusivo appannaggio delle aziende produttrici: il marketing strategico. «Da un ruolo relativamente passivo di semplice appendice dell’industria» - spiega Lambin - «la distribuzione è passata a svolgere un ruolo attivo, innovativo e talvolta dominante, modificando sensibilmente i rapporti di forza tra produttori e distributori» (Ivi, pag. 350) ; questo cambiamento ha portato alla creazione di prodotti e marche propri del distributore da contrapporre a quelle dei fabbricanti adottando tecniche sempre più raffinate di segmentazione imprenditoriale soprattutto in quei segmenti a basso prezzo trascurati dai grandi produttori e dunque facilmente conquistabili con l’introduzione di marchi propri: le private label. Le marche private sono prodotti (od anche servizi) venduti col nome del distributore ad un prezzo notevolmente inferiore (in realtà le strategie utilizzate oggi coprono quasi tutte le fasce di prezzo, anche quelle premium ed alcuni prodotti, come quelli bio, arrivano a costare anche di più rispetto alle marche de produttori); la differenza rispetto a tutte le altre marche dei produttori è presto detta: permette ai distributori d’incassare margini più elevati proprio perché i prodotti non contengono il costo relativo al marketing che invece contraddistingue le marche dei produttori. Tutto questo non fa che indebolire la figura del produttore e soprattutto creare rivalità all’interno della catena di valore andando a formare una concorrenza verticale nei circuiti di distribuzione che ha agevolato specialmente i consumatori diminuendo il potere delle potenti marche internazionali sia favorendo l’adattamento ai bisogni locali sia stimolando la concorrenza con i prezzi. La risposta dei produttori nei confronti di questo cambiamento è l’introduzione del trade marketing che consiste nel ridefinire la figura dei distributori come clienti veri e propri; proprio come clienti vengono quindi segmentati in base ai bisogni, scelto poi il segmento o i segmenti target nei quali si vuole operare ed infine viene creata ad hoc un tipo di offerta adeguata per ogni tipo di segmento prescelto. Si viene a creare così un mercato intermedio e le attività di marketing dell’azienda si dividono in due sezioni:

marketing above the line che ha come obiettivo i consumatori finali;
marketing below the line cioè il mantenimento dei rapporti con la grande distribuzione.

Due sezioni marketing: in nero il marketing below the line, in grigio il marketing above the line

1.2.4. L'ambiente macro-marketing - parte seconda: COSTITUZIONE DI SCENARI

Il termine scenario deriva dal latino scaenarium che letteralmente significa “spazio per le scene” e faceva parte esclusivamente del linguaggio teatrale per enumerare tutti gli elementi che concorrono alla formazione dell’ambiente scenico (sia esso un paesaggio o l’interno di un appartamento). Recentemente la parola è stata adottata anche dal gergo economico con una connotazione diversa che indica un contesto nel quale «[…] si collocano i futuri sviluppi di una situazione, ipotetica o reale, nel suo evolversi» - dal dizionario Treccani online.


Le condizioni dell’ambiente illustrate in precedenza, se accuratamente analizzate e monitorate, possono mostrare tendenze che vengono definite in economia “fattori deboli del cambiamento” e rappresentano una prima avvisaglia per poterne individuare eventuali trends del futuro.

Proprio per essere pronti al presentarsi di determinate condizioni, molte imprese ormai inseriscono all’interno del piano marketing un’apposita sezione denominata “costituzione di uno scenario” come forma di tutela nei confronti delle variabili esterne; i metodi per la previsione di tali scenari sono diversi, ma i più importanti ed i più utilizzati sono due: il metodo Rsa ed il metodo Delphi.

Il primo si basa sull’esame di tre variabili (Adattato da Barni, Silvio, 2004, La comunicazione d’impresa; come prepararsi ad attuare una comunicazione di successo, FrancoAngeli, Milano, pag. 34) interconnesse tra loro:

- regole: preso un settore, s’individuano le norme che lo differenziano e che lo governano;
- strutture: identificato il settore e il suo sistema normativo si enumerano tutti i soggetti, siano essi
associazioni, enti o gruppi, che influenzano ed operano in tale settore;
- attività: ciò che effettivamente compiono le strutture: eventi, fatti, azioni e comportamenti che le coinvolgono.

L’analisi congiunta di questi tre elementi porta alla costituzione di un possibile cambiamento futuro.
Il metodo Delphi utilizza invece un approccio alternativo che potremmo definire di controtendenza:

- si chiamano in causa esperti del settore che si vuole analizzare senza però che questi s’incontrino;
- l’azienda o qualsivoglia committente non è noto a nessun componente;
- una volta inviate le domande del committente, le risposte di ciascun esperto vengono trasmesse a
tutti in modo da seguire la logica dell’open source che quindi favorisce il continuo interscambio e nuovi spunti da prendere in considerazione;
- lo scambio ha termine quando almeno tre quarti dei partecipanti prospettano la medesima previsione.

Vedi anche: L'ambiente macro-marketing - parte prima

1.2.4. L'ambiente macro-marketing - parte prima

Nella progressiva evoluzione del marketing assistiamo ad un’apertura sempre maggiore nei confronti dell’ambiente esterno perché, come detto in precedenza, l’impresa rappresenta il sotto-sistema di uno molto più grande che contiene al suo interno una quantità di variabili che, se non accuratamente monitorate, potrebbero rappresentare a lungo termine un gap troppo grande da dover colmare. Il costante cambiamento degli orientamenti del marketing cammina parallelamente con l’evoluzione del termine stakeholder, che letteralmente significa “portare un interesse” (dall’inglese to hold a stake); della categoria facevano parte azionisti, clienti, fornitori, distributori e dipendenti secondo una visione che potremmo definire inside-out, cioè un approccio che partendo dall’interno doveva necessariamente soddisfare tutti i soggetti coinvolti, ovviamente secondo dinamiche ed obiettivi differenti. Recentemente invece, la classe di stakeholders si è notevolmente moltiplicata includendo, oltre ai soggetti già menzionati, categorie come autorità pubbliche, organismi internazionali, forze e fattori sociali secondo una visione outside-in che quindi procede non più dall’interno verso l’esterno ma va ad indagare in maniera approfondita tutte quelle variabili esterne che possono entrare in collisione oppure cooperare con l’impresa.


Quest’apertura si traduce in una vera e propria necessità perché è nell’ambiente esterno che nascono le opportunità di progettare e vendere prodotti e/o servizi e proprio dall’ambiente arrivano le minacce che possono gravare sull’equilibrio raggiunto. Ma il macro-sistema in cui si opera deve tener conto non solo dei soggetti direttamente od indirettamente coinvolti, ma costantemente monitorare anche tutta una serie di fattori e condizioni che possono essere determinanti: fattori tecnologici, ecologici, politici, economici e socio-culturali.

Alcuni dei principali fattori dell’ambiente


L’instabilità di tutto il sistema è inevitabilmente legato alla variabile tempo: il contesto attuale nel quale le nuove imprese stentano a nascere e quelle ormai durature riescono con difficoltà a reggere i ritmi del cambiamento, suggerisce un orientamento al mercato con un controllo sistematico di questi fattori. I dati e le informazioni che sotto forma di input entrano poi a far parte del sistema-impresa ne minacciano la stabilità e l’obiettivo diventa il raggiungimento di un nuovo equilibrio: pena il collasso del sistema. Proprio per cercare di monitorare ed in qualche modo prevedere le future evoluzioni dell’ambiente, sempre più imprese ricorrono ad alcuni accorgimenti come la costituzione di scenari o la presenza di strategie alternative all’interno del piano marketing al fine di attuare un approccio proattivo, in grado cioè di anticipare gli andamenti futuri.

Vedi anche: L'ambiente macro-marketing - parte seconda

1.2.3. La concorrenza

L’analisi ed il monitoraggio della concorrenza è una delle attività più importanti a cui l’impresa si dedica, anche perché in una fase di saturazione dei mercati come quelli di largo consumo le strategie aziendali si focalizzano sull’erosione (nel migliore dei casi) di quote di mercato detenute da imprese concorrenti. La concorrenza si divide in: attuale, potenziale ed indiretta. I concorrenti attuali sono definiti da tutte le aziende che agiscono nello stesso mercato dell’impresa e offrono gli stessi prodotti e/o servizi; quelli potenziali sono imprese che al momento non operano nello stesso mercato di riferimento ma che posseggono tutte le risorse (tangibili ed intangibili) per entrarvi; infine i concorrenti indiretti sono costituiti da soggetti che non agiscono nello stesso settore dell’impresa ma i cui prodotti si presentano come sostitutivi, cioè prodotti diversi da quelli che vengono proposti dall'impresa ma che soddisfano un bisogno identico o similare per il cliente; il treno ad alta velocità, per esempio, lanciato qualche mese fa da Trenitalia è un prodotto sostitutivo dell’aereo perché rispondente allo stesso bisogno del cliente: muoversi in meno tempo e con meno disagi.


Un’impresa orientata al mercato deve quindi istituire «[…] un sistema di controllo dei concorrenti più pericolosi in ognuno dei segmenti target […]» (Lambin, 2004, pag. 29) ed un sistema di gestione di queste informazioni che ne permetta la visione ma soprattutto la condivisione da parte di tutte le funzioni aziendali. La conoscenza delle principali caratteristiche dei concorrenti è di vitale importanza soprattutto perché «è in rapporto ad essi che l’impresa andrà a definire il vantaggio competitivo su cui si basa la sua strategia di sviluppo» (Ibidem) andando ad individuare i propri fattori critici di successo.

L’analisi deve tener conto e monitorare, secondo Kotler, tre variabili (Kotler, 2007, pag. 299) :
• la quota di mercato: quella che i concorrenti detengono nei confronti del mercato di riferimento;

l’indice di notorietà: cioè il numero di clienti espresso in percentuale che nomina il concorrente come prima impresa operante in quel settore;

l’indice delle preferenze d’acquisto: cioè il numero di clienti espresso sempre in percentuale che preferirebbe acquistare il prodotto dal concorrente.

Questa costante analisi e valutazione dei dati ci permette d’individuare i principali fattori di cambiamento (come il cambio di una preferenza verso un’impresa piuttosto che un’altra, o l’aumento o la diminuzione di una quota di mercato) così da cambiare, se necessario anche in corso d’opera, la strategia e gli obiettivi dell’impresa; ma per far questo è necessaria una vera e propria task force che assicuri la reperibilità e la circolazione delle informazioni. Oltre all’utilizzo del benchmarking, sempre Kotler suggerisce una progettazione del sistema di intelligence sulla concorrenza in quattro fasi (Ivi, pag. 301) per una corretta analisi:
configurazione del sistema: capire quali sono le informazioni più rilevanti d’analizzare e quali fonti possono essere utilizzare; incaricare un responsabile o un gruppo di lavoro deputati alla gestione di tutto il sistema e del suo continuo aggiornamento;

raccolta dei dati: consiste nella vera e propria ricerca delle informazioni rilevanti definite nella fase di configurazione del sistema attraverso soggetti che intrattengono rapporti con i concorrenti, attività di benchmarking, osservazioni sul campo (forza vendita, fornitori, canali utilizzati ecc.) e utilizzo dei dati pubblicati dalla concorrenza (come siti internet, bilanci, comunicati ed iniziative);

valutazione e analisi dei dati: dopo aver raccolto i dati se ne verifica la veridicità in base alle fonti utilizzare e si procede alla loro interpretazione ed organizzazione; alcune informazioni possono presentarsi confuse e dispersive, ecco perché l’organizzazione può rivelarsi molto utile;

distribuzione delle informazioni: ultima fase del sistema, che consiste nell’invio di tutti i dati raccolti ed organizzati per importanza ai dirigenti attraverso servizi di messaggistica istantanea, posta elettronica, newsletter, rapporti o altro.
L’osservazione dei concorrenti è così in grado di far capire all’impresa quelli che saranno le possibili tendenze di management nel medio o lungo termine, andando a modificare anche sensibilmente l’equilibrio dei propri processi; in un momento in cui la velocità del cambiamento sembra essere inarrestabile si sente come non mai l’esigenza del monitoraggio dell’altrui operato per comprendere meglio il proprio.


Il benchmarking è definito come la misurazione sistematica delle performace di altri gruppi aziendali; attraverso l’analisi comparativa l’azienda riesce a scoprire lacune che possono riguardare alcune prestazioni o il mal funzionamento di aree che diventeranno obiettivo di miglioramento. La nascita del benchmarking si deve proprio alla continua evoluzione dell’ambiente competitivo in cui opera un’impresa che, sotto la pressione dei suoi stakeholders, dei soggetti regolatori e delle minacce che vanno moltiplicandosi, richiede un metodo di lavoro più intelligente per ottenere e mantenere un vantaggio competitivo. La raccolta dei dati necessari sulle prestazioni comparabili risulta onerosa sia in termini monetari che temporali, ma senza questo genere d’informazioni le aziende che operano in determinati settori possono perdere importanti opportunità di sviluppo e contemporaneamente perdere terreno che nel lungo periodo risulterà impossibile recuperare. Lo scopo è quindi quello di valutare ed individuare le pratiche migliori relative ad un settore attraverso sette fasi:



- determinare le funzioni di benchmarking;


- identificare le principali prestazioni che si vogliono misurare;


- classificare le imprese di un settore per identificarne le migliori;


- valutarne le prestazioni;


- stimare le performance dell’impresa;


- interpretare i dati e specificare le strategie per colmare eventuali gap:


- implementare le strategie di correzione e tenere sotto controllo i risultati.


Le migliori pratiche rappresentano il modo migliore per svolgere attività nell'ambito di un processo di business. Sono il mezzo attraverso cui le aziende riescono a raggiungere l'eccellenza in termini di costi, qualità e tempo ed allo stesso tempo forniscono alle altre società obiettivi da raggiungere. Eppure le best practices non sono la risposta definitiva ad un problema di business, ma semplicemente fonte di intuizione creativa: un modo dimostrato di migliorare le prestazioni, che si può adattare per rispondere alle esigenze specifiche della propria attività. (Da: Kotler, 2007, pag. 300)

1.2.2. Il cliente prescrittore

Si tratta di soggetti in grado d’assumere un ruolo fondamentale per quel che riguarda la scelta di determinati prodotti e/o servizi e vengono definiti da Lambin come «soggetti e organizzazioni che possono esercitare un ruolo importante consigliando, raccomandando oppure prescrivendo marche di società, prodotti o servizi ai clienti e/o ai distributori» (Ivi, pag. 29) .


In realtà queste figure compaiono prepotentemente nei mercati Business-to-Business nei quali le aziende individuano quelli con maggior influenza per poter conformare i loro prodotti.

Un esempio di prescrittore è svolto da ingegneri o da architetti per quel che riguarda la scelta di lamellari, infissi o finestre, o dai medici per quel che concerne la riuscita o meno di un farmaco.

La presenza, l’individuazione e l’inizio di una relazione con i principali prescrittori è quindi di fondamentale importanza per la riuscita di determinati prodotti aziendali e le imprese non possono permettersi il lusso d’ignorarli perché questo comporterebbe la chiusura di determinati settori di attività.

1.2.1. Il cliente

Bisogni, desideri e comportamenti dei clienti sono ormai al centro dell’interesse dell’impresa e la maggiore difficoltà, di questi tempi, consiste proprio nell’individuarne le principali caratteristiche. L’economia ha sempre considerato il processo d’acquisto come un rapporto costo/beneficio e la generazione dei bisogni del cliente come una scatola nera che, se aperta, avrebbe solo danneggiato un sistema che aveva ormai passato da tempo la fase di rodaggio.


 
La prima fase del marketing strategico consiste proprio nell’identificazione di questi bisogni: come vedremo più avanti, Kotler definisce tre operazioni fondamentali di cui la prima è «identificare e definire il profilo dei vari gruppi di acquirenti che differiscono in quanto a bisogni e preferenze (segmentazione del mercato)» (Kotler, 2007, pag. 333) ; ma la definizione del concetto presenta sin da subito non poche difficoltà.

 
Il dizionario Treccani definisce il bisogno come «la necessità di procurarsi ciò che manca per raggiungere un fine determinato, oppure ciò che è ritenuto utile per il conseguimento di uno stato di benessere materiale o morale». Da questa definizione possiamo quindi effettuare una prima distinzione tra un bisogno naturale ed uno socio-culturale: il primo è innato e fa parte della natura umana (mangiare, bere, dormire), il secondo è il surrogato di ogni società e scaturisce dalle condizioni culturali, sociali ed economiche. Keynes (Lambin, 2004, pag. 67) , sulla base di questa principale differenza, introduce un altro tipo di distinzione tra bisogni assoluti e bisogni relativi che hanno come minimo comun denominatore il confronto con altri individui; i bisogni assoluti sono quelli avvertiti dagli uomini indipendentemente dalla condizione altrui mentre quelli relativi scaturiscono dalla voglia di superiorità nei confronti degli altri. Esempio: mangiare e bere sono bisogni assoluti, ma mangiare caviale e bere il miglior champagne sono bisogni relativi che generano una sensazione di superiorità ed uno status sociale elevato. Secondo questa dicotomia i primi sarebbero saturabili, mentre i secondi in continua evoluzione: più il benessere diviene alla portata di tutti, più si fa spazio il bisogno di affermarsi socialmente, ecco perché «i bisogni di origine socio-psicologica possono essere sentiti tanto quanto i bisogni più elementari» (Ibidem) .

 
Secondo la teoria economica i bisogni sono problemi ai quali il consumatore, con un comportamento prevedibile in quanto soggetto razionale, cerca soluzioni; ed è proprio seguendo questo filo conduttore che Abbott (Ivi, pag. 66) suggerisce un’ulteriore distinzione tra bisogni generici e bisogni derivati.

 
Il bisogno generico rappresenta l’esigenza funzionale mentre quello derivato sarebbe l’oggetto specifico in grado di esprimerne e tradurne la funzionalità; con le parole di Lambin, «il bisogno derivato è la risposta tecnologica particolare (il bene) data al bisogno generico ed è, allo stesso tempo, l’oggetto del desiderio» (Ibidem) : l’esigenza di comunicare, per esempio, rappresenta un bisogno generico assolta da diversi beni che si susseguono nel tempo secondo il principio del progresso (se prima era il telefono fisso il principale oggetto deputato alla comunicazione, oggi le possibilità si sono notevolmente moltiplicate avendo a disposizione telefoni mobili, satellitari e personal computer), ed è proprio per questo motivo che la saturazione non lede assolutamente quelli che sono i bisogni generici (ogni individuo avrà sempre bisogno di mangiare, comunicare, spostarsi ecc.) che a dispetto del tempo che passa permangono, ma soltanto i bisogni derivati.

 
Fino ad ora abbiamo esaminato i bisogni in base al loro rapporto dicotomico che, pur essendo utile alle aziende, non fornisce ancora un quadro completo della variabile “cliente”; la chiave di volta, a mio avviso, è la teorizzazione di una gerarchia dei bisogni fatta da Maslow (Ivi, pag. 77) , che li ordina secondo un grado d’importanza diverso in base alla crescita di ogni individuo.

 
Il presupposto di base risulta essere la naturale insoddisfazione umana che porta, soddisfatto un bisogno, al desiderio di accedere a quelli di livello successivo; in questo modo, secondo una scala ascendente a struttura piramidale, i bisogni vengono raggruppati in cinque categorie:
  •  bisogni fisiologici: definiti fondamentali da Maslow, rappresentano la base su cui poggia la gerarchia e sono quelli relativi alla sopravvivenza a breve termine (mangiare, dormire, bere);
  •  bisogni di sicurezza: relativi alla sopravvivenza a medio e lungo termine, come la difesa dell’organismo e la costruzione di un’identità personale;
  •  bisogni sociali: cioè quelli in grado di farci sentire in un ambiente a noi favorevole, come il senso della comunità, d’appartenenza, il bisogno d’intrattenere relazioni sociali con altri individui come l’amicizia o l’amore;
  •  bisogni di stima: relativi al riconoscimento di uno status sociale, la stima in sé stessi e quella che gli altri hanno di noi, il bisogno di essere rispettati;
  •  bisogni di autorealizzazione: si trovano al gradino più alto della scala gerarchica e sono quelli relativi alla crescita personale, al bisogno di superarsi, di dare un senso alle cose.
La cristallizzazione di questa gerarchia secondo un ordine prioritario aiuta le aziende nella definizione dei propri obiettivi e «la progressiva escalation del marketing» − dice Lambin − «[…] non fa altro che rispondere all’evoluzione dei bisogni […] che si osserva nelle società opulente, dove i bisogni di base sono ampiamente soddisfatti» (Ivi, pag. 75) mentre si fanno strada altri tipi di bisogni.

 
L’evoluzione di questi bisogni non è però l’unico fattore di cambiamento che interessa il cliente: la moltiplicazione dei canali di comunicazione e dei mezzi utilizzati per veicolare informazioni creano quello che Gallucci chiama il «consumatore convergente», cioè un consumatore che «[…] utilizza molti più canali per comunicare, informarsi e fare acquisti» (Ibidem) che suggerisce all’impresa che la differenza non sta nel conoscere un codice per poter comunicare, ma nel modo in cui questo viene usato a seconda dei canali e dal tipo di informazioni ricercate.


In ultima analisi, non si può non sottolineare il cambiamento di relazione cliente-impresa avvenuto nel corso del tempo e che finalmente assegna ai consumatori un ruolo fondamentale nelle decisioni aziendali.

Il passaggio consumatore/cliente/persona va di pari passo con l’evoluzione del marketing accaduta in questo secolo e cammina parallelamente all’attenzione sempre maggiore dei bisogni di porzioni della popolazione da parte delle aziende.

In un primo momento il termine consumatore viene usato con accezione negativa ed i prodotti sono pensati dall’azienda per l’azienda: il consumatore è solo un numero, una parte di quella fetta di mercato che è necessario raggiungere o mantenere. Con il successivo sviluppo della tecnologia e delle telecomunicazioni l’attenzione delle aziende si concentra sulla relazione ed il consumatore diventa cliente, qualcuno per cui è necessario aumentare la qualità dei prodotti e la personalizzazione della comunicazione: le imprese si rendono conto che acquistare nuovi consumatori è un costo insostenibile, il successo sta nella personalizzazione della relazione intrattenuta con il proprio portafoglio clienti.

L’ultimo passo, quello che si è verificato negli ultimi anni, è il passaggio da cliente a persona, dove la qualità della merce non basta più e i bisogni fondamentali sono già soddisfatti: i prodotti devono quindi riuscire ad appagare bisogni che appartengono ad un'altra sfera, quella personale, quella emozionale.



          GF e Maslow:
Il successo di molti format televisivi, uno tra tutti il Grande Fratello, si basa secondo il mio parere proprio sulla manipolazione della scala gerarchica dei bisogni teorizzata da Maslow. Gli autori del programma non danno ai concorrenti un copione prestabilito che gli prescriva d’innamorarsi, litigare o piangere, eppure questo succede: proprio perché ogni concorrente è portatore di una serie di bisogni che col passare del tempo all’interno della casa sente la necessità di soddisfare.



Ognuno infatti possiede uno status sociale che va ad incidere sulla qualità e sul modo d’instaurare relazioni, e proprio per cercare d’incentivare o destabilizzare queste relazioni gli autori si servono di una serie di escamotages: prendiamo a titolo d’ esempio le prove settimanali. Queste comportano un aumento del budget per la spesa se la prova viene superata o una diminuzione in caso contrario. Il non superamento della prova comporta meno cibo a disposizione per gli inquilini della casa e questo va a modificare direttamente il comportamento di ogni concorrente; l’attenzione che prima veniva data alle relazioni interpersonali come l’amicizia o l’infatuazione viene cancellata dal bisogno fisiologico primario come bere o mangiare che viene soddisfatto solo in parte: la più lampante conseguenza è l’instaurarsi di tensioni e scontri.

1.2. L'ambiente sistemico dell'impresa

Sin dall’infanzia, la prima cosa che impariamo è comunicare; non possediamo ancora tutti gli strumenti per poterlo fare (o li possediamo ma non ne siamo ancora consapevoli) eppure ci proviamo, eppure in qualche modo ci riusciamo. Col passare del tempo però ci rendiamo conto che, pur avendo imparato cose come l’uso di uno o più codici linguistici e le loro manipolazioni, comunicare diventa più difficile, come se questa facoltà fosse inversamente proporzionale agli strumenti che possediamo; ma in realtà non è esattamente così, la nostra capacità di comunicare deve adattarsi all’ambiente, alle proprietà ed alle sue variabili, e lo sforzo che facciamo ne è il cambiamento. L’impresa, così come ogni essere umano, rappresenta il sotto-sistema di uno più grande e più complesso, dove la dinamicità risulta essere la principale proprietà e la progressiva apertura verso l’ambiente esterno è proprio lo sforzo di rispondere al meglio alle variabili in gioco. Un’impresa orientata al mercato deve quindi necessariamente tenere conto di tutti gli attori che interagiscono con essa e ne influenzano i risultati.


Gli studi che si occupano dell’analisi e della scomposizione del contesto sono numerosi e, come succede in altre discipline, autori diversi individuano componenti diverse; in un momento in cui la velocità del cambiamento rende difficile una cristallizzazione degli scenari la maggior parte però si trova d’accordo con quella fatta da Lambin, che individua cinque attori principali in grado d’influenzare sensibilmente l’impresa: il cliente, il distributore, l’ambiente macro-marketing (o altri stakeholders), la concorrenza ed infine il cliente prescrittore (La scomposizione di Lambin è stata preferita alle cinque forze competitive di Porter perché quest’ultima si riferisce all’analisi specifica dell’attrattività di un mercato o di un segmento mentre Lambin individua i fattori specifici di cambiamento).

1. IL MARKETING E LE SUE EVOLUZIONI: PRINCIPALI FATTORI DI CAMBIAMENTO - 1.1. Un passo avanti

Non è difficile, generalizzando, etichettare opere, pensieri ed azioni; difficile è collocarli nel contesto in cui quelle idee germogliano e maturano, verificarne l’assonanza con l’ambiente e cogliere quel particolare rapporto che c’è tra background culturale e ideologie espresse. Sulla base di questo principio andiamo a riassumere le tappe principali del marketing per capire le motivazioni della sua evoluzione.


Il cambiamento di usi e costumi nel tempo porta ad una ridefinizione non solo dei prodotti e/o servizi messi sul mercato dalle aziende, ma anche e soprattutto ad una ridefinizione gestionale che ingloba tutte le funzioni aziendali e non solo i singoli processi.

Il cammino del marketing è uno dei cambiamenti più importanti: la cartina al tornasole di una collettività che si evolve nel tempo e ridefinisce i propri bisogni. Seguendo lo schema proposto dal lavoro di Lambin si possono distinguere quattro diversi step : «il marketing passivo, il marketing operativo, il marketing strategico e il market-driven management o governance guidata dal mercato» (Lambin, Jean-Jacques, 2002, Marketing stratégique et opérationnel, Du marketing à l’orientation-marché, Paris, Dunod (trad. it. Marketing strategico e operativo, Market-driven management, IV edizione, Milano, McGraw-Hill, 2004) pag. 13) , dove ogni fase avrà un orientamento differente (il marketing passivo sarà orientato al prodotto, il marketing operativo alla vendita, quello strategico avrà un orientamento al cliente ed infine il market-driven management sarà orientato al mercato).


Nel marketing passivo tutta la parte operativa «si riduce» - spiega Lambin - «all’organizzazione dello smercio dei prodotti fabbricati, essendo superflue le attività promozionali» (Ivi, pag. 14) ; di conseguenza la pubblicità, la promozione e le altre possibili leve sono assenti poiché la domanda supera l’offerta: ciò significa che le aziende, pur conoscendo i bisogni e le aspettative che in questo caso sono stabili ed invariati, non conoscono i propri clienti. Questo tipo di orientamento al prodotto, aiutato da una lentezza del progresso tecnologico, tende a focalizzare l’attenzione dell’azienda sui propri processi interni al fine di ottimizzarne i risultati invece di preoccuparsi del monitoraggio della soddisfazione dei clienti; la miopia di questo indirizzo aziendale procurerebbe l’errore che Kotler definisce la «migliore trappola per topi» (Kotler, Philip, 2007, Marketing Management, , USA, Prentice Hall (trad. it. Marketing Management, XI edizione, Pearson Education, Italia, 2007) pag. 24) , cioè la convinzione secondo la quale l’impresa più forte sarebbe soltanto quella capace di produrre un prodotto superiore, ma «la gente […] non si rende automaticamente conto che un nuovo prodotto è superiore» (Ibidem) .


Evoluzione del processo di marketing (Lambin, 2004, pag. 14)

Dopo questa prima fase, riscontrata principalmente all’inizio del secolo scorso, l’offerta riesce ad eguagliare la domanda grazie ad una maggiore capacità produttiva; il marketing da passivo passa ad un livello successivo, presente all’interno delle strutture aziendali come un marketing operativo che si propone l’obiettivo di creare e gestire rapporti commerciali: l’orientamento non è più indirizzato al prodotto, ma alla vendita di questo.

In questa fase, che inizia a manifestarsi verso gli anni Cinquanta, la struttura verticale del marketing non è ancora presente; pur facendo uso di timide e ristrettissime ricerche di mercato, la maggior parte delle aziende non si rivolge a target di clienti differenti ma «[…] si concentra sui bisogni del nocciolo duro del mercato con prodotti rispondenti ai bisogni della maggioranza […]» (Ivi, pag. 16) . La preponderanza di questo tipo di orientamento è dovuta, spiega Lambin, ai cambiamenti verificatisi durante i Golden Sixties (gli anni del cosiddetto boom economico, quelli che vanno dai ’50 agli ’80) in cui si assiste ad un aumento esponenziale del mercato grazie soprattutto alla rottura delle barriere dei vari mercati nazionali, agli «elevati tassi di crescita del consumo privato e dai livelli di diffusione dei beni durevoli» (Lambin, 2004, pag. 15) ed alla produzione in serie di prodotti poco o per niente differenziati perché creati per coprire la fetta più cospicua della popolazione.

Tuttavia l’orientamento alla vendita non è ancora uno strumento sufficiente e valido per conoscere, soddisfare e monitorare i desideri dei consumatori, ma adatto soltanto ai bisogni dell’azienda, la quale «tende a vendere ciò che si produce invece di produrre ciò che il mercato desidera» (Kotler,2007, pag. 25) . La saturazione delle necessità della porzione più grande del mercato e l’ingresso di nuovi concorrenti, in un contesto in cui il progresso tecnologico diventa sempre più veloce e capace di accorciare sensibilmente il ciclo di vita dei prodotti, comporta per le aziende una riorganizzazione multifunzionale ma soprattutto una presa di coscienza che sancisce la nascita di un nuovo orientamento: il cliente.


Fino a quel momento il monitoraggio era esclusivamente rivolto verso l’interno: i processi, la gestione, la logistica, la finanza e tutte le altre strutture dell’impresa venivano gestite come un sistema chiuso capace solo di generare output; l’orientamento al cliente rappresenta quindi un’apertura verso l’esterno trasformando l’azienda non solo in un ente capace di produrre ma anche di gestire l’ingresso di input che andavano a modificare e/o implementare gli output iniziali grazie ad un meccanismo di feedback. Il marketing strategico diventa così il paradigma dominante e la struttura della funzione marketing finalmente si completa: una volta creata l’apposita “sezione” all’interno dell’azienda, la si investe di un duplice compito: gestire una fase strategica ed una operativa .

Basandosi sull’assunto base che i prodotti acquistati dai consumatori sono il risultato di un ragionamento cosciente del tipo costo/beneficio, le aziende iniziano a porre al centro dell’attenzione la voce del cliente e ad analizzarne i bisogni avvalendosi di ricerche di mercato suddivise per metodologie differenti; in questo modo i prodotti risultano in qualche modo cuciti su misura dei consumatori ed è facile notare come questo nuovo orientamento sia l’antitesi di quello precedente: se infatti il marketing operativo aveva come obiettivo quello di vendere prodotti a clienti corretti, per il marketing strategico «lo scopo non è più quello di trovare clienti corretti per il prodotto ma il prodotto corretto per i clienti» (Ivi, pag. 26) .

Ma i bisogni dei consumatori non sono l’unica variabile all’interno del contesto in cui l’azienda opera né l’unico fattore in grado di disturbarla e così, grazie anche alle nuove tecnologie dell’informazione, il marketing conosce un nuovo, ed ultimo fino ad ora, orientamento: quello rivolto al mercato. La principale novità portata dal market-driven management sta nel considerare il marketing una competenza non di funzione ma di processo, infatti viene definito come «il processo di pianificazione e realizzazione […], promozione e distribuzione di idee, beni e servizi al fine di creare scambi che consentano di conseguire gli obiettivi di individui e organizzazioni» (Ivi, pag. 13) ; questo implica che la sola funzione aziendale ad esso deputata non basta perché, essendo processo, il marketing è trasversale a tutte le funzioni: il ché significa riorganizzazione ed interdipendenza di tutte le attività aziendali in base a tale principio.

Confronto tra Orientamento/Sistema/Funzione
 
La raison d’être di quest’ultimo modello sta nell’ulteriore apertura dell’azienda verso l’esterno riconsiderando l’ambiente circostante; i consumatori, come detto in precedenza, non costituiscono l’unica variabile da prendere in considerazione ma solo una delle tante all’interno di un contesto molto più ampio e difficile da valutare, tant’è che Lambin conclude dicendo che «[…]l’assenza di un orientamento al mercato in un’impresa può compromettere la sua capacità di adattamento alle nuove sfide dell’ambiente» (Lambin, 2004, pag. 27) .