giovedì 22 luglio 2010

1. IL MARKETING E LE SUE EVOLUZIONI: PRINCIPALI FATTORI DI CAMBIAMENTO - 1.1. Un passo avanti

Non è difficile, generalizzando, etichettare opere, pensieri ed azioni; difficile è collocarli nel contesto in cui quelle idee germogliano e maturano, verificarne l’assonanza con l’ambiente e cogliere quel particolare rapporto che c’è tra background culturale e ideologie espresse. Sulla base di questo principio andiamo a riassumere le tappe principali del marketing per capire le motivazioni della sua evoluzione.


Il cambiamento di usi e costumi nel tempo porta ad una ridefinizione non solo dei prodotti e/o servizi messi sul mercato dalle aziende, ma anche e soprattutto ad una ridefinizione gestionale che ingloba tutte le funzioni aziendali e non solo i singoli processi.

Il cammino del marketing è uno dei cambiamenti più importanti: la cartina al tornasole di una collettività che si evolve nel tempo e ridefinisce i propri bisogni. Seguendo lo schema proposto dal lavoro di Lambin si possono distinguere quattro diversi step : «il marketing passivo, il marketing operativo, il marketing strategico e il market-driven management o governance guidata dal mercato» (Lambin, Jean-Jacques, 2002, Marketing stratégique et opérationnel, Du marketing à l’orientation-marché, Paris, Dunod (trad. it. Marketing strategico e operativo, Market-driven management, IV edizione, Milano, McGraw-Hill, 2004) pag. 13) , dove ogni fase avrà un orientamento differente (il marketing passivo sarà orientato al prodotto, il marketing operativo alla vendita, quello strategico avrà un orientamento al cliente ed infine il market-driven management sarà orientato al mercato).


Nel marketing passivo tutta la parte operativa «si riduce» - spiega Lambin - «all’organizzazione dello smercio dei prodotti fabbricati, essendo superflue le attività promozionali» (Ivi, pag. 14) ; di conseguenza la pubblicità, la promozione e le altre possibili leve sono assenti poiché la domanda supera l’offerta: ciò significa che le aziende, pur conoscendo i bisogni e le aspettative che in questo caso sono stabili ed invariati, non conoscono i propri clienti. Questo tipo di orientamento al prodotto, aiutato da una lentezza del progresso tecnologico, tende a focalizzare l’attenzione dell’azienda sui propri processi interni al fine di ottimizzarne i risultati invece di preoccuparsi del monitoraggio della soddisfazione dei clienti; la miopia di questo indirizzo aziendale procurerebbe l’errore che Kotler definisce la «migliore trappola per topi» (Kotler, Philip, 2007, Marketing Management, , USA, Prentice Hall (trad. it. Marketing Management, XI edizione, Pearson Education, Italia, 2007) pag. 24) , cioè la convinzione secondo la quale l’impresa più forte sarebbe soltanto quella capace di produrre un prodotto superiore, ma «la gente […] non si rende automaticamente conto che un nuovo prodotto è superiore» (Ibidem) .


Evoluzione del processo di marketing (Lambin, 2004, pag. 14)

Dopo questa prima fase, riscontrata principalmente all’inizio del secolo scorso, l’offerta riesce ad eguagliare la domanda grazie ad una maggiore capacità produttiva; il marketing da passivo passa ad un livello successivo, presente all’interno delle strutture aziendali come un marketing operativo che si propone l’obiettivo di creare e gestire rapporti commerciali: l’orientamento non è più indirizzato al prodotto, ma alla vendita di questo.

In questa fase, che inizia a manifestarsi verso gli anni Cinquanta, la struttura verticale del marketing non è ancora presente; pur facendo uso di timide e ristrettissime ricerche di mercato, la maggior parte delle aziende non si rivolge a target di clienti differenti ma «[…] si concentra sui bisogni del nocciolo duro del mercato con prodotti rispondenti ai bisogni della maggioranza […]» (Ivi, pag. 16) . La preponderanza di questo tipo di orientamento è dovuta, spiega Lambin, ai cambiamenti verificatisi durante i Golden Sixties (gli anni del cosiddetto boom economico, quelli che vanno dai ’50 agli ’80) in cui si assiste ad un aumento esponenziale del mercato grazie soprattutto alla rottura delle barriere dei vari mercati nazionali, agli «elevati tassi di crescita del consumo privato e dai livelli di diffusione dei beni durevoli» (Lambin, 2004, pag. 15) ed alla produzione in serie di prodotti poco o per niente differenziati perché creati per coprire la fetta più cospicua della popolazione.

Tuttavia l’orientamento alla vendita non è ancora uno strumento sufficiente e valido per conoscere, soddisfare e monitorare i desideri dei consumatori, ma adatto soltanto ai bisogni dell’azienda, la quale «tende a vendere ciò che si produce invece di produrre ciò che il mercato desidera» (Kotler,2007, pag. 25) . La saturazione delle necessità della porzione più grande del mercato e l’ingresso di nuovi concorrenti, in un contesto in cui il progresso tecnologico diventa sempre più veloce e capace di accorciare sensibilmente il ciclo di vita dei prodotti, comporta per le aziende una riorganizzazione multifunzionale ma soprattutto una presa di coscienza che sancisce la nascita di un nuovo orientamento: il cliente.


Fino a quel momento il monitoraggio era esclusivamente rivolto verso l’interno: i processi, la gestione, la logistica, la finanza e tutte le altre strutture dell’impresa venivano gestite come un sistema chiuso capace solo di generare output; l’orientamento al cliente rappresenta quindi un’apertura verso l’esterno trasformando l’azienda non solo in un ente capace di produrre ma anche di gestire l’ingresso di input che andavano a modificare e/o implementare gli output iniziali grazie ad un meccanismo di feedback. Il marketing strategico diventa così il paradigma dominante e la struttura della funzione marketing finalmente si completa: una volta creata l’apposita “sezione” all’interno dell’azienda, la si investe di un duplice compito: gestire una fase strategica ed una operativa .

Basandosi sull’assunto base che i prodotti acquistati dai consumatori sono il risultato di un ragionamento cosciente del tipo costo/beneficio, le aziende iniziano a porre al centro dell’attenzione la voce del cliente e ad analizzarne i bisogni avvalendosi di ricerche di mercato suddivise per metodologie differenti; in questo modo i prodotti risultano in qualche modo cuciti su misura dei consumatori ed è facile notare come questo nuovo orientamento sia l’antitesi di quello precedente: se infatti il marketing operativo aveva come obiettivo quello di vendere prodotti a clienti corretti, per il marketing strategico «lo scopo non è più quello di trovare clienti corretti per il prodotto ma il prodotto corretto per i clienti» (Ivi, pag. 26) .

Ma i bisogni dei consumatori non sono l’unica variabile all’interno del contesto in cui l’azienda opera né l’unico fattore in grado di disturbarla e così, grazie anche alle nuove tecnologie dell’informazione, il marketing conosce un nuovo, ed ultimo fino ad ora, orientamento: quello rivolto al mercato. La principale novità portata dal market-driven management sta nel considerare il marketing una competenza non di funzione ma di processo, infatti viene definito come «il processo di pianificazione e realizzazione […], promozione e distribuzione di idee, beni e servizi al fine di creare scambi che consentano di conseguire gli obiettivi di individui e organizzazioni» (Ivi, pag. 13) ; questo implica che la sola funzione aziendale ad esso deputata non basta perché, essendo processo, il marketing è trasversale a tutte le funzioni: il ché significa riorganizzazione ed interdipendenza di tutte le attività aziendali in base a tale principio.

Confronto tra Orientamento/Sistema/Funzione
 
La raison d’être di quest’ultimo modello sta nell’ulteriore apertura dell’azienda verso l’esterno riconsiderando l’ambiente circostante; i consumatori, come detto in precedenza, non costituiscono l’unica variabile da prendere in considerazione ma solo una delle tante all’interno di un contesto molto più ampio e difficile da valutare, tant’è che Lambin conclude dicendo che «[…]l’assenza di un orientamento al mercato in un’impresa può compromettere la sua capacità di adattamento alle nuove sfide dell’ambiente» (Lambin, 2004, pag. 27) .

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