La ragione che ha indotto a credere che il cuore fosse la sede di ogni emozione stava nella sua facilità di studio e di misurazione, a dispetto del cervello di cui ancora oggi si conosce relativamente poco rispetto alle sue reali potenzialità; un battito cardiaco accelerato, una maggiore irrorazione sanguigna sul volto erano sintomi che collegavano direttamente il cuore alle emozioni. Eppure già Ippocrate (460-370 a.C.) ebbe l’intuizione di collegare il cervello ai sentimenti umani:«L’uomo deve sapere che null’altro che dal cervello, provengono gioie, piaceri risate e divertimenti e dolori e tristezze, sconforto e lamenti» centrando così il “cuore” del problema. Ma i suoi successori non ebbero miglior fortuna ed il problema di Cartesio di come riuscire a congiungere e a far interagire due sostanze differenti ne è un esempio lampante.
La ragione prende definitivamente il sopravvento tra Seicento e Settecento sulla scia di un cieco Illuminismo che sanciva ormai la sudditanza emotiva in virtù di una ragione superiore, la quale avrebbe condotto al progresso ed alla felicità degli uomini senza il condizionamento dei sentimenti.
L’emozione viene classificata come qualcosa di dannoso, le passioni hanno solo connotazioni negative che è bene evitare, basti pensare solo al Cristianesimo che vietava (e lo fa tuttora) ogni genere di pulsione perché portatrice di peccato. La ragione quindi diventa un faro illuminante, un principio da seguire ed il giusto mezzo per apprendere.
Le posizioni degli studiosi però iniziano a cambiare prospettiva grazie soprattutto alle nuove scoperte delle neuroscienze che ridimensionano il ruolo cognitivo svolto dal cervello e sottolineano invece la pervasività dell’emozione nell’apprendimento degli stimoli provenienti dall’ambiente. In altre parole l’interpretazione delle informazioni che ogni giorno siamo chiamati a fare non ha solo un livello cognitivo e quindi razionale, ma anche (e soprattutto) un livello emotivo come dimostrato da LeDoux: «il fatto che l’apprendimento emotivo possa venire mediato da percorsi che aggirano la corteccia è intrigante: suggerisce che le risposte emotive possono avvenire senza coinvolgere i sistemi di elaborazione superiore del cervello che dovrebbero essere coinvolti nel pensiero, nel ragionamento e nella coscienza» (LeDoux, Joseph, 1996, The Emotional Brain. The Mysterious Underpinning of Emotional Life, Simon & Schuster, New York (trad. it. Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, II edizione, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2003) pag. 167) .
La pratica del consumo viene così investita di nuovi attributi e significati: i prodotti non hanno solo aspetti funzionali e pratici ma diventano segni di qualcosa di più intimo e privato legati alla sfera emozionale. Il problema da risolvere per il marketing diventa quindi capire come queste emozioni si formano, analizzare il meccanismo inconscio che codifica tutte le informazioni nella mente ed in che modo possono essere rievocate. Per fare questo, la convergenza tra marketing e neuroscienze risulta determinante per comprendere le dinamiche innescate dagli stimoli e di conseguenza il perché si preferisca un prodotto piuttosto che un altro.
Il nostro cervello è formato da due emisferi, destro e sinistro, che compiono funzioni differenti ma interagenti: l’emisfero sinistro, proprio perché sede del linguaggio e collegato quindi alla straordinaria capacità di generare pensieri e ragionamenti, è stato definito dagli studiosi del secolo scorso come l’emisfero dominante mentre quello destro secondario; Roger W. Sperry, premio Nobel per la medicina nel 1981 al quale si deve proprio la scoperta delle diverse funzioni degli emisferi cerebrali grazie alla tecnica dello split-brain, commenta in questo modo:«In poche parole, la società ha un atteggiamento discriminante nei confronti dell’emisfero destro».
Funzioni degli emisferi cerebrali |
Indagare la parte destra del cervello apre quindi orizzonti inaspettati specialmente per chi si occupa di strategie di marketing ed offre una maggiore comprensione dei consumatori e delle loro abitudini d’acquisto.
Siamo ora in grado d’indicare quali zone del cervello vengono attivate e coinvolte nella produzione di una parola, nella soluzione di un problema o nella scelta di un compagno, «eppure» - ricorda LeDoux - «i processi mentali non sono funzioni di certe aree del cervello in senso stretto. Ogni area opera attraverso il sistema di cui fa parte» (Ivi, pag. 79) . Le scienze che si occupano proprio del funzionamento e dello studio del cervello sono chiamate neuroscienze.
Nessun commento:
Posta un commento